Emil Cioran

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Quanto a Cioran, anche il suo pensiero richiederebbe un discorso articolato, ma ci limitiamo qui a una sola osservazione. La sua opera somministra, pagina dopo pagina, un concentrato di pessimismo che avvelena mortalmente tutti gli ideali, le speranze e gli slanci metafisici della filosofia, cioè tutti i tentativi di ancorare l'esistenza a un senso che la rassicuri di fronte all'abisso dell'assurdità che in ogni momento la minaccia. Le meditazioni di Cioran ci sospingono fino a quel punto in cui ciascuno di noi sta nudo di fronte al suo nudo destino. In La chute dans le temps (1964) - un titolo di chiara provenienza gnostica - si dice:

Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità (Cioran, 1995: 11-12).

L'uomo è insomma un nulla conscio di sé, è «colui che non è»: così asserisce Cioran rovesciando la definizione veterotestamentaria di Dio come «colui che è». La sua costellazione di pensiero non va confusa con quella delle speranzose filosofie dell'esistenza. È piuttosto quella dello gnostico che - consapevole di essere caduto nel tempo e nella finitudine, di essere libero ma al tempo stesso prigioniero nell'angusta cella dell'universo - vuole salvarsi in forza di se stesso e nega disperatamente ogni valore positivo del mondo, incendiando con furore iconoclastico tutte le immagini, i fantasmi e gli dèi che lo popolano, pur sapendo che gli altari abbandonati verranno abitati da demoni. Un'aura palesemente gnostico-nichilistica emana così dagli scritti di questo mistico senza Dio e si condensa, come un'ossessione, lungo la sequela dei suoi taglienti aforismi e delle sue peregrinazioni saggistiche. Il nichilismo gnostico con cui si ha qui a che fare è più evocato con immagini ed effetti letterari che non svolto ed esposto nei giri ampi e rigorosi del ragionamento filosofico. Ma proprio così vengono alla luce in maniera quasi abbagliante la disperazione e insieme la lucidità che lo sostengono, la malinconia e l'accanimento di cui si nutre, l'empietà che lo attrae verso la fosforescenza del male e al tempo stesso la devozione con cui Cioran si slancia verso quella «versione più pura di Dio» che è per lui il Nulla.

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